sabato 28 gennaio 2012

VELIERI - Stampe del '800

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Il veliero è una nave che sfrutta il vento come mezzo di propulsione.
Tra le creazioni dell'ingegno umano, è quello che mette insieme esigenze tecniche, funzionali ed estetiche.


Scaturisce dall'evoluzione di un piccolo, semplice, mezzo di trasporto, il primo vero mezzo di trasporto fin dall'antichità; indispensabile per mettere in comunicazione i Popoli, per la scoperta di Nuovi Mondi e per lo scambio di merci.

Se ci pensi, ti rendi conto di quanto sia sempre stata importante la nave.
Un uomo può portare solo un peso analogo al suo e per un breve periodo; se utilizza un carro trainato da cavalli, o buoi, può arrivare a quattro o cinque quintali. Ma una canoa di dieci metri, condotta da otto rematori porta quattro tonnellate! E una piccola imbarcazione a vela, con un equipaggio di tre uomini, ne porta trenta!

Con queste premesse appare inevitabile che la navigazione si sia evoluta e sia ancora attuale.



Giulio Verne sosteneva che la nave è il primo vero veicolo della civiltà, perché quaranta chilometri di deserto dividono di più gli uomini che cinquecento miglia di mare.


***... Per parlare della vera e propria storia ed evoluzione dei grandi velieri bisogna però aspettare i tempi più vicini a noi, il 1300 circa. E' in questi anni che appare in un documento, la "Carta di Pizigani", un tipo di nave a due alberi: la caracca. E' questa che poi subirà le opportune e graduali modifiche, richieste dalle varie esigenze dei diversi periodi storici.


E' da ricordare inoltre che fino al 1700 circa non esistevano scuole di costruzione navale, schemi o regole, e tutto il sapere era tramandato oralmente dai maestri artigiani, i carpentieri...




1)


LA CARACCA.


Si tratta di un bastimento di alto bordo e di gran portata a quattro o cinque coperte, con due castelli uno a poppa e l'altro a prua, tre alberi, vele quadre, gabbie, parrocchetti, la mezzana latina. La sua portata è di 2.000 tonnellate. Veniva usata da tutte le nazioni, ma particolarmente da Genovesi e Portoghesi, per il traffico e qualche volta anche in guerra.

Il castello, sia a prua che a poppa, è una sovrastruttura leggera, praticamente una piattaforma, circondata da una balaustra o da un grigliato per non pesare sulle estremità della nave.


CARACCA di Amerigo Vespucci
 Inizialmente era fornita di due soli alberi, quello di maestra e quello di mezzana. La spinta maggiore viene naturalmente dalla vela più grande, una sola vela quadra sull'albero di maestra.

Con il tempo le viene apportata una modifica e viene aggiunto un terzo albero. E' da tener presente che ogni albero ha una sola vela ed è quadra. Le manovre dipendono dalle due vele più piccole, quella dell'albero di mezzana e quella dell'albero di trinchetto.

Successivamente anche le vele vengono modificate. Viene aggiunto un pennone al bompresso sul quale viene issata una vela quadra e sopra la maestra viene innalzato un alberetto sul quale è infierita una vela di gabbia, sempre quadra.

La SANTA MARIA, nave ammiraglia di Cristoforo Colombo, era una caracca di piccole dimensioni varata nel 1480 circa. La lunghezza fuori tutto era di circa 24 metri e la larghezza di 8 metri, l'immersione di metri 2,10 e la stazza di tonnellate 51,3 (attuali). Era dotata di tre alberi (l'albero di maestra era alto m 26,60), un equipaggio di 39 uomini, e portava 4 bombarde da 90 mm, diverse colubrine da 50 mm e balestre e spingarde portatili. Sull'albero di maestra il grande trevo portava la croce rossa di Castiglia e la parte superione dell'albero era fornita di una piccola vela di gabbia; sull'albero di trinchetto c'era una sola vela che prendeva lo stesso nome dell'albero e sull'albero di mezzana si presentava una piccola vela latina triangolare; il bompresso sorreggeva la civada (piccola vela quadra). Alla vela maestra potevano all'occorrenza essere aggiunte altre due vele, due coltellacci (piccole vele quadre).

Sul cassero c'era la cabina dell'ammiraglio, mentre l'equipaggio dormiva sotto il ponte di coperta (sul nudo legno) dove era presente anche un locale che si potrebbe identificare con una cucina.

Altre caracche di cui si ha documentazione raggiungevano al massimo la lunghezza di 38 metri fuori tutto, e di 26 metri considerando la sola chiglia, ed erano alte metri 10,40.





2)




LA CARAVELLA.


La prima caravella è un'imbarcazione usata per la pesca in Portogallo. Il primo documento in cui appare è la "Carta di Alfonso III" nel 1255. Il termine verrà poi usato per tutte le piccole navi con due o tre alberi e vele latine. Si tratta di una nave a scafo rotondo, con poppa squadrata e prua arrotondata e con dislocamento medio tra 25 e 60 tonnellate.

Due delle navi di Cristoforo Colombo erano caravelle: la Nina e la Pinta.

La NINA aveva vele quadre sugli alberi di trinchetto e di maestra e vela latina sull'albero di mezzana. Era inoltre di poco più piccola della Santa Maria (una caracca). Non aveva il castello a prora ed il cassero risultava di dimensioni ridotte (inferiori all'altezza di un uomo), era fornita di tre ancore ed un equipaggio di 20 uomini. La lunghezza era di m 21,44, la larghezza m 6,44, l'immersione di m 1,78 e il dislocamento di t 52,72 (attuali). Con questa caravella Cristoforo Colombo compì anche il secondo e il terzo viaggio. Sembra che la Nina, sotto il suo comando, abbia navigato per più di 25.000 miglia marine.


LA PINTA
 La PINTA era ancora più piccola, con solo due alberi armati a vele quadre. Non ci sono molte notizie certe su questa caravella, ma sembra che sull'albero di trinchetto e su quello di maestra ci fosse una grande vela quadra, mentre sull'albero di mezzana era presente una vela triangolare latina. La lunghezza presunta va da m 18,50 a m 23,60, la larghezza da m 5,80 a m 6,30, l'immersione da m 1,60 a 1,85 e il dislocamento era di t 50 circa; l'equipaggio era composto da 25 uomini. Questa caravella venne noleggiata da Cristoforo Colombo da Gomez Rascon e Cristobal Quintero (comandanti poi della stessa nave). Aveva castello a prua e cassero a poppa, inoltre era stato costruito un casseretto (un secondo cassero più piccolo sopra il grande ponte di poppa). L'altezza del cassero sembra fosse di m 1,20 e probabilmente costituiva il dormitorio dell'equipaggio; il castello si deduce fosse alto m 1,40. Dalla lettura del diaro di bordo si è potuto constatare che questa caravella ha raggiunto, e mantenuto, la velocità di 11,2 miglia all'ora (attuali) per ben 11 ore.

La caravella viene utilizzata anche nei secoli 15° e 16° per i grandi viaggi in Oceano. Le sue dimensioni subiscono delle variazioni fino a portarla tra le 100 e 300 tonnellate, ha tre alberi e bompresso, vele latine e spesso vela quadra solo a prora. Spesso viene costruita con il castello a prua e il cassero a poppa. Nel 1500 spesso viene usata la parola caravella per distinguere il fasciame utilizzato: "a paro" piuttosto che "sovrapposto" o a "clinker". Praticamente le tavole che costituivano il fasciame erano avvicinate una all'altra e allineate secondo il loro spessore.

La cronaca del 15° secolo riporta proprio della costruzione di navi "caravelle", sul modello portoghese con fasciame "a paro", sia in Olanda che Danimarca. Questo permette un maggiore spessore del fasciame, e quindi rigidità, ed anche il fatto di posarlo su una struttura trasversale.

Le caravelle pur essendo di piccole dimensioni, di lunghezza inferiore ai 20 metri, avevano però buone caratteristiche tecniche: poco pescaggio, basse sull'acqua, strette e leggere, con poppa a specchio e prora affinata. Risultavano perciò veloci e buone boliniere, capaci di risalire il vento.




3)



LA GALEA


Con Galea, o Galera, si intende un bastimento lungo e sottile, a vela latina, a remo scaloccio, usato generalmente in guerra.

Lo scafo è lungo e basso sull'acqua ed è fornito di uno sperone. A poppa è fornito di un piccolo castello con balaustra intorno.

Le flotte di Arabi, Turchi, Spagnoli, Francesi, Genovesi e Veneziani erano formate in prevalenza da galere.

E' armata come una caravella: due o tre alberi, vela latina. In particolare quella veneziana ha anche una lunga asta, per fissare la bandiera, posta a prora. La galea è fornita di una passerella al centro, che consente di accedere al castello a prua passando sopra i rematori. Spesso i rematori erano dei veri e propri prigionieri, ed è da qui che è derivato anche il nome galera.

E' chiamata con diversi nomi a seconda della tipologia:
fusta, se ha i remi appaiati;
galea sottile, quando i remi sono a gruppi di tre;
galea grossa, se è costruita per uso mercantile, quindi con dimensioni maggiori, con un rapporto di lunghezza - larghezza di 6 a 1;

galea sottile con rapporto invece di 8 a 1; galeazza (del 16° secolo), in cui sono incrementate le vele ed è presente il cannone.

Ogni tipo di galea ha determinate dimensioni, trascritte in alcuni documenti da Theodoro de Nicolò, un costruttore veneziano, e precisamente:

fusta: lunghezza metri 39,93, larghezza massima metri 3,96 ed un bordo libero massimo di metri 1,37;
sottile: lunghezza metri 39,93, larghezza metri 5,03 e bordo libero massimo metri 1,68;
grossa: lunghezza metri 46,02, larghezza metri 7,47 e bordo libero 3,03.

In un documento emanato da Carlo I D'Angiò nel 1275, si riportano queste altre dimensioni di costruzione: lunghezza alla linea di galleggiamento metri 28,20, fuori tutto metri 39,50, larghezza metri 3,70 e pescaggio metri 2,08. Erano armate a due alberi: maestra, di metri 18, diametro massimo centimetri 30 ed asta di metri 26,80; mezzana, di metri 11, diametro massimo centimetri 25 ed asta di metri 17.

Alla fine del 1500 le ultime galeazze cristiane fornite di cannoni furono quelle che parteciparono alla battaglia contro la flotta Turca a Lepanto. Dopo di esse ci fu l'avvento dei galeoni (più utili perché non necessitavano più di rematori).

Per la cronaca, nella battaglia di Lepanto (1571) la flotta della Lega era composta da: n. 207 galere, n. 6 galeazze e n. 30 navi da carico. Le stesse erano armate con un totale di 1.815 pezzi tra cannoni e petriere. In particolare: le galere avevano 5 cannoni nella zona prodiera e 2/4 mezzi cannoni con varie petriere e spingarde, e le galeazze 36 cannoni e n. 64 petriere disposti in due castelli su tre ordini. Gli equipaggi erano costituiti da 28.000 soldati, 12.920 marinai e 43.500 remieri.




4)




IL GALEONE


L'introduzione dell'uso del cannone a bordo, con conseguente necessità di rendere più stabili le navi, la continua ricerca e conquista di territori e di ricchezze, e la possibilità di renderle più agili (senza la forza dei rematori, ma sfruttando la forza del vento), portarono alla creazione dei galeoni all'inizio del 16° secolo.


Il VASA
 Il galeone è un bastimento lungo quanto le galere e galeazze, ma di alto bordo e grossi legnami, rilevato di poppa e di prua, con 14 portelli sul primo ponte e 14 sul secondo. E' una nave a vela con quattro (a volte tre) alberi forniti due con vele quadre e due con vele latine. L'albero di trinchetto ha tre vele quadre, quello di maestra (il più alto) altre tre vele quadre, e quello di mezzana è armato con una vela latina triangolare sotto ad una contromezzana quadra. L'eventuale quarto albero, detto di bonaventura, ha la vela latina.

Le sovrastrutture di prua e di poppa vengono alzate, tanto che in genere sono fatte da due o tre ponti. Il cassero normalmente viene ornato di statue e figure allegoriche. Il galeone misura mediamente m 42 di lunghezza e m 10 di larghezza.

Questa nave ha successo grazie alla sua agilità e manovrabilità, che consente di ridurre i tempi di navigazione e di viaggiare con meno equipaggio. A tutto questo si aggiunge anche una buona capacità di carico ed il fatto di potersi difendere con i propri cannoni, evitando quindi di partire con una scorta per un viaggio che in questi tempi sarebbe andato oltre Oceano.

Questo tipo di veliero nasce in Inghilterra. Grazie a James Baker, vengono realizzati i portelli di fiancata. Praticando delle aperture sulle fiancate, dotate di portelli di chiusura, si riesce a caricare cannoni più grandi che vengono installati sui ponti più bassi. La prima nave costruita con questo nuovo sistema è la Great Harry nel 1514, ed era la nave ammiraglia di Enrico 8°. Aveva una stazza di più di 1.000 tonnellate, imponenti castello sia a prua che a poppa, quattro alberi: trinchetta e maestra con vele quadre e rispettivamente una di gabbia, mezzana e bonaventura con vele auriche, 128 cannoni. Si dice che sulla stessa erano imbarcati arcieri che portavano una riserva di 750 frecce e 1.200 corde per gli archi.




5)


IL VASCELLO


Nel 1700 l'evoluzione del galeone portò ad abbassare sempre di più i castelli, ad eliminare le decorazioni (che servivano solo come abbellimento, ed erano inutili se non addirittura d'intralcio), ed a modificare l'attrezzatura. Generalmente si tratta di una nave a tre alberi, ognuno composto da albero, albero di gabbia e alberetto. Su questo nuovo modello di nave si utilizzano di più le vele quadre e soprattutto si aggiungono le vele poste longitudinalmente. In particolare la controcivada e l'albero di parrocchetto, posti sul bompresso dei galeoni, vengono eliminati e sostituiti dall'asta di fiocco, che ora sostiene le nuove vele triangolari: i fiocchi e controfiocchi; tra gli alberi vengono issate le vele di straglio (o di strallo). La vela latina sull'albero di mezzana viene eliminata e sostituita dalla vela aurica. I pennoni vengono dotati di marciapiede, il cavo teso sotto di essi sul quale i marinai possono appoggiare i piedi durante le manovre alle vele.

Sotto il castello (a prua) c'è la cucina, mentre sotto il cassero (a poppa) c'è l'alloggio degli ufficiali.


Il Vascello Royal Sovereign

La differenziazione dei vari vascelli avviene in base alla loro dimensione ed alla quantità di cannoni di cui sono dotati. La stazza raggiunge la grandezza compresa tra un minimo di tonnellate 1.500 ed un massimo di tonnellate 5.000.

 La nave di prima classe è quella più grande ed ha più di 100 cannoni, quella di seconda ne ha da 80 a 98, di terza da 64 a 74, di quarta da 44 a 56, di quinta da 32 a 36 e di sesta da 24 a 28. In genere i cannoni hanno un calibro compreso tra 3 e 42 libbre.

Queste sei classi sono suddivise anche in questo altro modo: le prime tre identificano le navi da battaglia, le altre comprendono scorte, avvisi, imbarcazioni con compiti ausiliari. I vascelli delle prime tre classi partecipano alle battaglie in linea (da cui deriva anche il vascello di linea, come la Victory), mentre quelli delle altre tre classi procedono da sole (veloci sia per sfuggire ad un nemico più grande, ma anche per poter raggiungere navi nemiche più piccole).







6)




LA FREGATA


La nave usata alla fine del 18° secolo viene chiamata fregata. Si tratta di una nave lunga e bassa di bordo libero, fornita di non più di 40 cannoni disposti sul ponte principale ed avente il ponte di coperta aperto al centro. E' una nave molto veloce, può raggiungere i 12 nodi e può stringere il vento fino a 60 gradi. Il suo utilizzo principale è per la caccia al nemico e per l'esplorazione. Le dimensioni che raggiunge sono di m 55 di lunghezza fuori tutto e m 45 alla linea di galleggiamento, e m 12 di larghezza. Oltre ai cannoni (già presenti sui vascelli) porta anche armi più leggere. Di solito vengono caricati anche tre o quattro mortai a canna corta ed inoltre dei piccoli cannoni girevoli, che vengono montati lungo le impavesate (la parte superiore delle murate) ed utilizzati nei combattimenti ravvicinati. In genere è imbarcato anche un distaccamento di fanti di Marina. Una modifica fatta all'albero di bompresso, che doveva essere maggiormente resistente, è costituita dall'aggiunta di un'asta, ad esso perpendicolare, chiamata pennaccino (o buttafuori di briglia, o delfiniera). Alle vele già presenti sugli alberi ne viene aggiunta una quarta, il controvelaccio. L'albero di mezzana viene armato con velacci e controvelacci, al di sopra della randa. La fregata ha raggiunto così, in generale, un totale di 18 vele. A quelle quadre, all'occorrenza, potevano essere aggiunte alcune vele piccole, dette "forza di vele", che consentivano di aumentare e mantenere costante la velocità del veliero.

La Fregata BOUNTY



 I primi costruttori sono i francesi che modificano i vascelli, eliminando il ponte superiore ed aumentando la larghezza, e rendono la fregata una nave più stabile sotto il fuoco dei vascelli nemici, pur restando altrettanto resistente, ed inoltre più veloce, grazie alla leggerezza.

Gli Inglesi successivamente modificano di conseguenza anche la loro flotta. In effetti per i loro traffici mercantili in America non è necessaria una nave prettamente da guerra, ma solo una che sia fornita di cannoni al solo scopo di difesa dei carichi preziosi. Le "fregate di Blackwall" (dal nome di un cantiere sul Tamigi), le più famose e le più grandi, hanno una stazza di 1400 tonnellate, una lunghezza massima di metri 55 ed una larghezza di metri 12.

Gli Stati Uniti, appena costituiti, vedendo l'utilità della fregata, la imitano, ma apportando alcune modifiche per renderla più agile. Ne diminuiscono il pescaggio (utile soprattutto lungo le basse acque costiere) ed affinano le linee della carena. Così facendo costruiscono le navi più grandi di quell'epoca: lunghe metri 60 e con larghezza massima di metri 13,50. Il nome ufficiale che viene dato è di "fregata da 44 cannoni", anche se in realtà ne portano 30 da 24 libbre in batteria, 20 da 12 libbre sul ponte di coperta e 2 da 24 libbre sul castello a prora. Anche la superficie velica viene aumentata, le fregate americane hanno tre alberi con vele quadre e la randa aurica, inoltre sono armati con velacci e controvelacci sui tutti gli alberi. La President era la più veloce e raggiunse i 14 nodi.


7)



IL CLIPPER


Agli inizi del 19° secolo le esigenze sono cambiate. Ci vogliono navi che raggiungano le Colonie d'Oriente e portino merci risparmiando tempo, pertanto più affinate, prive di decori e naturalmente più invelate. Si modificano le vecchie strutture e si arriva ad un veliero armato a tre alberi con vele quadre e con la prua affilata.

Il primo grande progettista è un americano, John Willis Griffith, autore del Rainbow, il quale afferma che la nave, a parità di stazza, deve essere più lunga e con la prua sottile. Lo stesso progettò anche il Sea Witch, altro clipper che raggiunse la meta a tempi di record.

Nel 1850 il costruttore Donald McKay, famoso tra i costruttori americani di clipper, procede al varo dello Stag Hound che risulta essere il più grande mercantile di quel tempo. L'anno successivo viene però varato il Flying Cloud che lo supera: stazza di tonnellate 1750, lunghezza metri 70 e larghezza metri 12,50. Quest'ultimo raggiunge anche velocità impensabili con punte di 18 nodi.

La grande importanza della velocità, con la conseguente fama e le richieste di costruzione raggiunte dai clipper, la si capisce subito se si pensa che, nella seconda metà del 1800, esistevano due rotte commerciali importanti: Cina - Inghilterra per il tè e Australia - Inghilterra per la lana; il prezzo maggiore veniva fissato dalla prima nave che raggiungeva il porto.

Nel 1852 i cantiere americani vararono ben 61 clipper, nel 1853 invece furono 125. Sempre nel 1853 fu costruito, da McKay, il Great Republic, il più grande clipper: lunghezza 100 metri, 4 alberi, 13.000 metri quadri di vele ed un carico di 6.000 tonnellate di merce. Non prese il mare così, infatti subì alcuni danni a causa di un incendio. Venne restaurato qualche anno dopo, accorciando gli alberi e riducendo la capacità di carico.



Il Clipper  CUTTY SARK
 Il Cutty Sark è uno dei classici "clipper del the".

Venne varato nel 1869. E' lungo m. 85,34 e largo m. 10,97, ha un'immersione di m. 6,40 ed un dislocamento pari a t. 2.133. L'equipaggio era composto da 32 uomini.

Lo si può ancora vedere, ed è visitabile, perché è "ormeggiato" a Greenwich.






8)




I velieri e le grandi navi a vela furono accantonati a seguito della scoperta, e dell'avvento, del motore a vapore.

All'inizio i motori si rivelarono inefficaci per due motivi. Il primo per la poca forza che riuscivano ad imprimere a due grandi ruote a pale fissate sulle due murate del battello; il secondo a causa della necessità di riservare spazio ad un carico aggiuntivo costituito da carbone e legname, da bruciare durante il viaggio, per alimentare le caldaie.

Successivamente però vennero perfezionati i motori ed introdotto l'uso dell'elica al posto delle ruote a pale.

Le rotte Oceaniche vennero facilitate dall'apertura del Canale di Suez (inaugurato nel 1869) e pertanto rimasero solo alcune rotte riservate ai velieri. Questi ultimi navigavano solo verso: mete lontane, dove le riserve di carbone e di legname non sarebbero state sufficienti a percorrere l'intera distanza; dove non ci sarebbe stata la possibilità di fare rifornimento di combustibile, perchè venivano attraversate zone povere; dove i carichi sarebbero stati troppo economici, spesso appena sufficienti a coprire le spese, e non avrebbero concesso grossi guadagni.

Nel 1915 poi venne anche inaugurato il Canale di Panama, che permetteva di passare dall'Oceano Atlantico all'Oceano Pacifico con molta meno navigazione (sia in termini di spazio, sia di tempo) e soprattutto evitando di passare dal tanto temuto Capo Horn.
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L' Articolo  esplicativo e le foto dei modellini sono stati tratti Qui


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Le 8 Stampe postate, riproduzioni, sono di mia proprietà.




sabato 21 gennaio 2012

OBELISCHI ROMANI - Stampe Antiche Acquaforte - D. Amici incisore

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OBELISCHI

Si possono definire i grattacieli dell’antichità. Gli egizi erano ossessionati da questi monoliti dedicati alla divinità solare. I romani ne trafugarono così tanti dall’Egitto che, ad oggi, Roma risulta la città con più obelischi “innestati” nel proprio tessuto architettonico: ne ha ben 19 a vista.


... "Il tekhen (termine egizio che significa obelisco), venne denominato in modo un po’ canzonatorio dai Greci "obeliskos" che significa spiedino, riferendosi proprio alla sua forma stretta e lunga; i Romani invece intuirono quale potente simbolo di potere e vittoria incarnassero questi monumenti, pertanto decisero di adottarli. Fu allora che gli obelischi cominciarono a solcare terre e mari quali bottini di guerra e iniziarono a glorificare il potere degli imperatori romani: ad inaugurare questa tendenza fu Augusto, che dieci anni prima della nascita di Cristo portò a Roma il primo obelisco, prelevandolo da Eliopolis (“città del sole” sede principale del culto del dio Ra) e sistemandolo sulla spina del Circo Massimo. Così pian piano la città romana venne popolata da obelischi originali e d’imitazione, ma quando sopraggiunse il medioevo essi cominciarono a non essere più visti di buon occhio, erano sopravvissuti a tutto, a terremoti, saccheggi ed alluvioni ma, incarnando il dio Sole e il culto dell’imperatore, furono identificati col demonio e condannati come idoli pagani! La lotta ingaggiata da papa Gregorio Magno nel VI secolo e proseguita dagli altri papi, fece sì che gli obelischi fossero abbattuti e così questi monumenti scomparvero dalla storia, sotto metri di terra, al punto che se ne scordò perfino l’esistenza.

Ritorno alla luce

Giunse poi il glorioso Rinascimento, che portò la rinascita della cultura, delle arti e di Roma, e nella città eterna sbocciarono nuovamente gli obelischi… Potrebbe sembrare una contraddizione, ma furono proprio i papi a far scavare metri cubi di terra, affinché gli obelischi dimenticati e in frantumi potessero resuscitare ed essere nuovamente innalzati, in quanto anche la Chiesa intuì l’antica simbologia di potere che essi incarnavano e volle adottarla per celebrare la propria potenza; gli obelischi furono trasformati in “piedi della Croce”! Ed infatti proprio sulla punta, sul piramidion, i papi fecero issare una croce, simbolo cardine dei nuovi tempi, spesso legata allo stemma della propria casata, emblema del potere personale da immortalare per i contemporanei e per le generazioni future.


Tale “rinascita” fu avviata da papa Sisto V che, collaborando con l’illustre architetto Domenico Fontana, fece recuperare gli obelischi frantumati sepolti, e li fece disporre nei punti strategici del nuovo piano regolatore della città. I monoliti svettavano agli incroci delle nuove strade e dinanzi alle chiese principali frequentate dai pellegrini, che in questo modo potevano avvistare il luogo sacro sin da lontano.


Con il passare del tempo si riscoprì anche la loro valenza estetica e quindi nel Seicento si arrivò a decorare con essi anche parchi e fontane. Del resto, a periodi alterni, non si era mai smesso di favoleggiare sull’antico Egitto: la sua civiltà e i geroglifici hanno sempre affascinato l’occidente e ispirato le mode e le arti.


Gli obelischi continuarono ad essere eretti fino al secolo scorso: l’ultimo è venuto alla luce nel 1883 ed è stato disposto presso la tribuna di Santa Maria sopra Minerva nel 1887. " .... Qui

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Propongo la visione di una raccolta, composta da 6 stampe, raffiguranti altrettanti Obelischi.
Ogni stampa è stata eseguita con la tecnica dell'acquaforte, disegnata dal vero e incisa da Domenico Amici nel 1837/38/39.







Posto al centro della famosa piazza progettata dal Bernini, l'obelisco Vaticano è un monolito a fasce lisce, di granito rosso, alto più di 25,367 metri, che con il basamento e la croce posta alla sua sommità raggiunge i 40,285 m. Proveniente da Heliopolis, fu portato a Roma per volere di Caligola nel 37 d.C., per decorare il Circo di Nerone, situato nell'area dell'attuale sagrestia della Basilica. Restò eretto a lato della basilica finché Sisto V, nel 1586, lo fece spostare da Domenico Fontana dove è ora. È coronato da monti e stelle, presenti nello stemma della famiglia Chigi, alla quale apparteneva Alessandro VII. La base è decorata da quattro leoni, motivo araldico dello stemma di Sisto V, e da aquile bronzee fatte aggiungere nel 1713 da Innocenzo XIII, come memoria degli elementi araldici della sua famiglia Conti. Sulla sommità della guglia sono conservate le reliquie della Santa Croce; in precedenza vi era posta una palla di bronzo che conteneva, secondo la tradizione, le ceneri di Giulio Cesare: Sisto V la donò al Comune di Roma e fu posta nel Palazzo dei Conservatori. Sulla superficie della palla si notano le tracce dei colpi di cannone sparati dai Lanzichenecchi durante il sacco del 1527. Sul pavimento fu posta nel 1817 una MERIDIANA con la Rosa dei Venti, opera dell'astronomo L. G. Gilij, per la quale l'obelisco funziona da gnomone. «Sul selciato una fascia di granito rosso - come scrive Luigi Lotti - va in linea retta da un punto situato a destra della base dell'obelisco fino al di là della fontana del Maderno. I due dischi marmorei estremi della fascia stanno a indicare i luoghi dove, a mezzogiorno vero, l'ombra della croce cade nei due giorni solstiziali dell'anno: 22 giugno e 22 dicembre. Il primo disco di marmo indica il solstizio in Cancro, il secondo il solstizio in Capricorno. Fra questi due estremi altri cinque dischi indicano il passaggio del Sole nei segni zodiacali accoppiati: Leone-Gemelli, Vergine-Toro, Bilancia-Ariete, Scorpione-Pesci e Sagittario-Acquario. I dischi, dopo il 1817, furono cambiati una volta nel 1852, quando vennero posti sulla piazza i primi lampadari a gas (l'opera fu fatta dallo scalpellino Danesi che otteneva i dischi segando normalmente una colonna di marmo di 60 cm di diametro), un'altra volta nel 1878 o 1880 al tempo di Leone XIII (1878-1903), ed un'ultima volta nel 1924». Le due FONTANE sono in linea con l'obelisco ed equidistanti dal colonnato: quella di sinistra è di Gian Lorenzo Bernini, eretta nel 1677, l'altra è di Carlo Maderno, eretta nel 161i in perfetta simmetria, sono entrambe caratterizzate dai catini decorati a scaglie, sorretti da uno stelo. Qui




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È il più antico obelisco egizio esistente a Roma, nonché il più alto: misura, infatti, m 32,185 che arrivano con il basamento a m 45,70. È in granito rosso e proviene da Tebe, dove era dedicato al faraone Tutmosi III e posto davanti al tempio di Amon. Venne fatto portare a Roma da Costanzo II nel 357 d.C., per collocarlo nel Circo Massimo. Come l'obelisco Flaminio, fu in seguito abbandonato e rimase sotterrato per secoli finché non venne rinvenuto, spezzato in tre tronconi, nel 1587 sotto papa Sisto V. Per volere del papa, venne restaurato dall'architetto Domenico Fontana ed innalzato, l'anno dopo, in Piazza San Giovanni in Laterano, davanti l'ingresso posteriore dell'omonima Basilica.



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L'obelisco si trova al centro della piazza, sopra la Fontana dei Quattro Fiumi, realizzata nel 1651 dal Bernini, con le colossali statue del Nilo, Gange, Danubio e Rio de la Plata, scolpite rispettivamente da Giacomo Antonio Fancelli, Claude Poussin, Antonio Raggi e Francesco Baratta. Si dice che il Bernini abbia concepito il soggetto dietro l'interpretazione esoterica che dei geroglifici dell'obelisco gli dette il gesuita Athanasius Kircher. L'obelisco proveniva dal Circo di Massenzio situato sulla Via Appia. Sulla sua sommità è stata posta una colomba, simbolo dei Pamphili, ed assunta ad emblema dello Spirito Santo che si diffonde nelle quattro regioni dell'universo (simboleggiate dai quattro lati dell'obelisco) e nei quattro continenti (rappresentati dai quattro fiumi). È alto 16,539 m ma con il basamento, la fontana e la colomba raggiunge m 30,172.



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L'obelisco venne fatto erigere nella Piazza dell'Esquilino, di fronte alla Basilica di Santa Maria Maggiore, da Sisto V nel 1587. Alto 14,751 m, è un'imitazione romana e fu ritrovato spezzato in Via di San Rocco, dopo aver ornato, insieme al gemello oggi posto in piazza del Quirinale, l'ingresso del Mausoleo di Augusto. Venne messo in opera dall'architetto Domenico Fontana.




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Proviene da Heliopolis, dove fu innalzato davanti al Tempio del Sole dai Faraoni Seti I e Ramsete II poco prima del 1200 a.C. Fu uno dei primi ad essere trasportato a Roma da Augusto nel 10 a.C., per celebrare la vittoria sull'Egitto, e fu inizialmente utilizzato come spina nel Circo Massimo. Nel 1589 il papa Sisto V lo fece collocare nella posizione attuale, utilizzando per il piedistallo dei blocchi tolti al Settizonio demolito. È alto 23,914 metri, ma con il basamento raggiunge m 36,430. Nei geroglifici è scritto: «Il cielo degli dei è soddisfatto per quello che fece il figlio del Sole Seti I dagli spiriti di Eliopoli amato come il sole». Sulle facce del basamento vi sono quattro iscrizioni: in quella verso il Pincio, quasi illeggibile a causa di un fulmine che lo colpì il 13 Agosto 1983, l'obelisco stesso si dice lieto di innalzarsi davanti al sacro tempio di Colei dal cui seno virginale durante l'impero di Augusto nacque il Sole di giustizia (si riferisce alla chiesa di Santa Maria del Popolo). Il lato opposto, verso il fiume, ricorda Sisto V che volle trasferire l'obelisco dedicandolo alla Santissima Croce. Quella verso la Porta del Popolo rievoca la vittoria di Augusto sull'Egitto mentre quella opposta, rivolta verso il noto Tridente (la divergenza a ventaglio dalla piazza delle tre strade più famose del centro di Roma: via di Ripetta, via del Corso e Via del Babuino) risulta danneggiata ed intraducibile.



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Posto a fronte della chiesa di Trinità dei Monti, proviene dagli Orti Sallustiani, imitazione romana di epoca imperiale degli obelischi egizi: i geroglifici sono simili a quelli dell'obelisco di Piazza del Popolo, ma lo scalpellino romano che li eseguì ha commesso degli errori, perché alcuni segni sono capovolti. Alto m 13,913 fu collocato qui dall'architetto Giovanni Antinori nel 1789, per volere di Pio VI, dopo che Clemente XII nel 1734 aveva tentato invano di farlo erigere di fronte alla Basilica di San Giovanni in Laterano, giacendo abbandonato vicino alla Scala Santa. Vi furono collocati il giglio di Francia e la croce, così che con il basamento raggiunse m 30,451. Il piedistallo, molto alto e sproporzionato rispetto al monolito, non è l'originale, che invece si trova sul Campidoglio nel giardino sul lato sinistro del palazzo Senatorio: collocato su un altro basamento di travertino e decorato con simbolici orpelli, durante il Ventennio fascista fu consacrato come "Ara dei caduti fascisti".




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AMICI, Domenico. - Disegnatore ed incisore in rame, nato a Roma nel 18o8. Nel basso vedutismo romano succeduto alla grande èra vasiana e piranesiana, l'A. fu tra quelli che mostrarono maggiori ambizioni: dopo aver inciso all'acquaforte alcune vedute "disegnate dal vero", volle apparire anche "inventore" e incise una serie di 30 vedute immaginarie a mo' di scenografie, che nel 1831 licenziò a Roma con il titolo di Opera-scenografica - inventata e incisa - da Domenico Amici-Romano.

Ma quei rami, tutti intagliati a soli contorni, nel modo che era stato tramandato dai tre Hackert ed accettato in Roma, per la figura, da T. Piroli e da F. Giangiacomo, e in un primo tempo, per i paesi incisi, dallo stesso Antonio Acquaroni, non allettava più nessuno; si che anche l'A. s'indusse a chiaros curare, prendendo a modello non già il Piranesi, ma l'ancora vivente Luigi Rossini.

Dopo le Rovine romane in 20 rami (Roma 1832-33), si diede a ritrarre "obelischi" e "fontane",aggiungendo a quei soggetti anche l'altro dei "chiostri", per una raccolta di 30 rami uscita nel 1838. Intanto insisteva nel ritrarre fabbriche e rovine per nuove raccolte, di cui alcune venivano realizzate come tali (Vedute dei contorni di Roma,Roma 1847) ed altre invece si disgregavano strada facendo, mentre i rami entravano in raccolte di altri. Dopo la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione (8 dic. 1854) e l'erezione successiva, da parte dell'arch. Luigi Poletti, della colonna commemorativa dell'avvenimento, presso piazza di Spagna, l'A. la riprodusse per primo. E questo fu il suo più grande successo professionale. Tradusse anche in 12 rami una serie di acquerelli di Carlo Werner figuranti le rovine di porta San Pancrazio dopo la difesa di Roma del 1849, e partecipò, come Antonio Acquaroni, suo maggior compagno di lavoro nella Calcografla romana, alla grande Scenografia dei più celebri Monumenti ... del 1864.

Ma la sua opera, giudicata oggi, non ha, nel complesso, se non valore di documento e di curiosità. Ricorderemo a tal proposito il Palazzo di Montecitorio, da lui inciso nel 1840, qual era apparso già alla fantasia di Giuseppe Gioacchino Belli, con in alto "bannerola, orologgio e campanile" e "un grossissimo par de campanoni",e giù la folla dei Romani attenta all'estrazione del lotto.

Si ignora la data di morte dell'A., ma nel 1870-71 viveva e lavorava ancora, come risulta da disegni datati del Gabinetto nazionale delle stampe in Roma, della raccolta già Morandi (uno dei quali con la veduta delle adiacenze di Porta Pia dopo la breccia) e di altre raccolte private.



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A smentire altre voci, che indicano la morte dell'Amici avvenuta nel 1871, si trova in questo catalogo  Qui un acquerello firmato dall' Artista e datato 1877 ... questo:
 

640 DOMENICO AMICI
        Roma 1808 - post 1877

        VICOLO DI PAESE LAZIALE CON PAESANI

        Acquerello su carta, cm 27x18,3
        Firmato e datato 1877, a destra
        In cornice








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Significato dell'arte dell'incisione




L'incisione deve la sua origine e la sua fortuna alla possibilità di moltiplicare le immagini. Indipendentemente dalle matrici e dai mezzi coi quali si arriva ad impressionarle, due sono in definitiva gli elementi della stampa incisa : la carta e l'inchiostro e cioè il bianco e il nero : entrambi ugualmente importanti, inscindibili, in funzione l'uno dell'altro. Il nero dà all'immagine il corpo, il bianco il respiro e la vibrazione vitale.


L'incisione non è un disegno riportato sul legno, sul metallo o sulla pietra ; è un'opera pensata per la materia destinata a realizzarla, alla cui indole, risorse e possibilità, deve adeguarsi ; premessa, questa, indispensabile per raggiungere lo stile. Perché è sulla matrice e non sulla carta che l'atto creativo dell'artista si compie, preparando quello conclusivo e rivelatore dell'impressione.


L'incisore non ha quindi, come il pittore o lo scultore, la visione e il controllo costante del suo lavoro che deve, inoltre, eseguire a rovescio, a distanza ravvicinata, in condizioni di visibilità fallaci e penose, fra continue incertezze e rischi. Una esperienza tecnica esauriente, pur subordinata al fatto creativo, è fondamentale quindi per prevedere l'effettiva portata di ogni singola fase dell'elaborazione. L'incisione, arte a sé, è capace di una forza espressiva che raggiunge quella della stessa pittura. Si dice originale quando creatore del soggetto e incisore sono la stessa persona ; e questa è la sola forma che veramente importi e di cui rimangono capolavori di insuperata potenza. Qui Link



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Le Stampe postate, riproduzioni del 1958, sono di mia proprietà.





venerdì 20 gennaio 2012

TAVOLE ASTROLOGICHE ANTICHE - XILOGRAFIE

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L'astrologia è una disciplina millenaria, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.

Dai fondamenti e principi dell’astrologia antica sono state elaborate, dalle sue origini e nel corso del tempo, una gran varietà di tecniche astrologiche, di cui attualmente si è persa la consistente “traccia”. Esse stanno giungendo fino a noi solo per il contributo personale di pochi studiosi che svolgono una ricerca sui motivi che hanno ispirato l’astrologia, su quali ne siano le applicazioni ed i limiti. Si tratta dello studio di opere che non sono facilmente reperibili o che richiedono un sapiente lavoro di traduzione – dal latino, dal greco antico, dall’arabo, principalmente – e filologico prima di comprenderne l’unitarietà della concezione.

Si dice (!) che esista un influsso degli astri su tutte le cose che accadono sulla Terra e questo influsso viene percepito in forme articolate e riconoscibili. Questo influsso proviene da corpi che hanno luce, ma non semplicemente corpi che hanno luce in sé, ma corpi che, nei loro moti apparenti (che appaiono alla vista dell’osservatore ad occhio nudo o con strumenti anche rudimentali), manifestano un’emanazione luminosa che la nostra percezione accoglie. Hanno quindi influenza i pianeti, le stelle e tutti i nuovi fenomeni luminosi: le stelle nove, i bolidi, le meteore ignee, le comete e così via laddove, dicevamo, risultano visibili, percebili alla vista dell’essere umano. Per quanto concerne i pianeti questo si verifica per i pianeti con orbite vicine al Sole, quali Mercurio e Venere, ma anche per Marte e Giove, fino a comprendere Saturno, ma non oltre. Si tratta di un ragionamento legato alla percezione sensibile e alle variazioni luminose. Quindi, è un discorso che vuole comprendere quali sono le variazioni, le alterazioni che un ciclo luminoso produce sulla vita. Pertanto, concerne un’osservazione di un influsso “sensibile”, di un influsso sulla natura corporea.

Queste xilografie non sono altro che una rappresentazione del riflesso del macrocosmo nel mediocosmo umano e sociale e nel microcosmo mondano. 
[I codici miniati hanno dato degli esempi di altissimo livello artistico ed erano anche coevi alle prime opere a stampa, i cosiddetti Libri d'ore (quello del Duca di Berry ne rappresenta il vertice del genere)].
Purtroppo, anche in questo caso, da queste stampe, non sono riuscita a risalire al periodo certo di esecuzione. 

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SOLE





Il Sole, in astrologia è il primo e più importante pianeta del sistema solare. Indica la parte virile di ognuno di noi, quella solare e diurna, la figura del padre e per una donna anche quella del marito, è il modo di affrontare il mondo, la realtà, è creatività, l'aggressività. La posizione del Sole in un oroscopo determina il segno zodiacale di appartenenza e conferisce alla persona le caratteristiche proprie di quel segno. Avere il Sole in Ariete significa essere del segno dell'Ariete, e così via per tutti gli altri segni che sono sul pianeta.

Il Sole è domiciliato in Leone, in esaltazione in Ariete, in esilio in Aquario in caduta in Bilancia.

È il luminare per eccellenza anche se astrologicamente è considerato un pianeta. Percorre all'incirca un grado al giorno all'interno dello Zodiaco e termina il suo percorso nell'arco di un anno, toccando così tutte le costellazioni.
 
Il Sole nei segni

La posizione del Sole, più che quella di altri pianeti, influenza il modo di essere dell'individuo ed è quella che determina le caratteristiche generali del carattere. Questo significa che in un'interpretazione globale di un tema natale, al di là dei vari significati che si possono dare agli altri pianeti, esso sarà comunque il cardine da cui partire ed aiuterà nel completamento del quadro astrologico.




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VENERE



Venere è il secondo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole. In astrologia, indica la capacità affettiva, i sentimenti, la sensibilità, la diplomazia, la sessualità, le inclinazioni ad attività artistiche nonché il talento musicale dell'individuo. In altre parole, Venere indica il modo di amare e il gusto estetico delle persone, per estensione del significato è anche il modo di curare sé stessi.

Secondo l'astrologia, Venere è il pianeta governatore dei segni del Toro (domicilio notturno) e della Bilancia (domicilio diurno), con le relative case astrologiche (II e VII casa, case del denaro e delle relazioni personali). Nonostante gli aspetti antitetici di questi segni (il primo è deciso e godereccio, il secondo è indeciso e intellettuale), essi hanno comunque in comune il gusto per il bello e il lusso, il bisogno di amare e l'amore per le arti e la musica, e sono proprio queste le caratteristiche peculiari di questo pianeta.

Secondo l'astrologia tradizionale Venere è in esaltazione in Pesci, in esilio in Ariete e Scorpione, in caduta in Vergine.

Essendo il secondo pianeta del sistema solare dopo Mercurio, Venere si trova tra la Terra e il Sole. Per questo motivo, visto dalla Terra, si distanzia dal Sole per non più di 46° sul cerchio zodiacale. Visto che ogni segno occupa un angolo di 30° nella ruota dello zodiaco, ne deriva che Venere si trova sempre entro i 2 segni precedenti e i 2 successivi a quello del Sole. Sempre per la vicinanza al Sole, è molto facile che appaia retrogrado, ovvero che visto dalla Terra sembri indietreggiare sulla sua orbita rispetto alla sua direzione normale (in senso progrado) a causa del contemporaneo movimento della Terra intorno al Sole.
 Venere nei segni

La posizione di Venere nel tema natale dell'individuo influenza il suo modo di amare, quindi di vivere le relazioni affettive con gli altri, a prescindere dal segno solare. Questo significa che la descrizione classica delle relazioni personali e dei talenti di un segno può non corrispondere completamente alla realtà per chi possiede venere in un segno diverso. Per esempio un Vergine imprudente nell'iniziare una relazione ha molto probabilmente venere in Leone, un Capricorno eccessivamente attratto sessualmente da uomini e/o donne, tanto da frenare a fatica l'eccitazione, ha sicuramente Venere in Scorpione, un Toro infedele probabilmente ha una Venere in Gemelli.




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LUNA




La Luna è l'unico satellite naturale della Terra e il secondo corpo celeste più luminoso dopo il Sole. In astrologia è considerato un pianeta e indica l'inconscio, i lati più nascosti dell'individuo, la sensibilità, la fantasia, le abitudini, le reazioni, gli istinti, i sogni, l'infanzia, la memoria, rappresenta quindi la parte recettiva e femminile dell'individuo. In altre parole, la Luna indica il comportamento emotivo e spontaneo delle persone. È la notte con i suoi sogni ed è complementare del Sole, pianeta maschile, diurno e attivo che completa con la sua femminilità, passività.

La sua interpretazione in una tema natale ci può dare informazioni sul tipo di rapporto del soggetto con la madre, nel caso di un oroscopo femminile indica come interpreta il ruolo di madre mentre in un tema maschile, dà informazioni sulla tipo di donna ideale. Assieme al Sole, è uno dei due luminari dello zodiaco e gli aspetti che intercorrono tra i due pianeti ci informano sulle difficoltà di armonizzazione tra le due parti maschile e femminile dell'individuo.

La Luna è il luminare governatore del segno del Cancro, suo domicilio diurno e notturno, con la relativa IV casa astrologica o Imum Coeli, casa della famiglia e del focolare domestico. Caratteristiche tipiche del Cancro sono romanticismo, sensibilità, sentimento materno e protettivo, partecipazione, passione, istinto, emozione, e sono proprio queste le caratteristiche peculiari di questo pianeta.

La Luna è in esaltazione in Toro, in esilio in Capricorno, in caduta in Scorpione. La tradizione attribuisce l'esaltazione della Luna nel segno del Toro, ma una parte dell'astrologia moderna, a seguito della revisione delle esaltazioni proposta da Lisa Morpurgo, considera l'esaltazione nei Pesci e la caduta nel segno della Vergine.

Essendo satellite della Terra, la Luna è l'unico "pianeta" dello zodiaco a non ruotare intorno al Sole. La rivoluzione lunare attorno alla Terra si completa in circa 28 giorni, il che significa che il segno zodiacale in cui transita la Luna cambia ogni 2-3 giorni circa.

La Luna nei segni

La posizione di Luna, analogamente a quella di tutti gli altri pianeti, influenza l'inconscio e l'emotività profonda dell'individuo allo stesso modo qualunque sia la posizione del suo Sole. Questo significa che la descrizione classica delle reazioni emotive ed istintive di un segno può non corrispondere completamente alla realtà per chi possiede la Luna in un segno diverso. L'influenza della Luna è comunque nascosta e difficile da individuare, per cui spesso non comporta grandi modificazioni evidenti nel carattere e nel comportamento generale di un individuo, ma può comunque evidenziare o attenuare leggermente il temperamento del Sole di nascita.



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MARTE




Marte è il quarto pianeta del sistema solare, viene subito dopo la Terra ed ha una distanza media dal Sole di 228 milioni di chilometri. La sua superficie è rocciosa e il colore è rosso-arancione.
E’ un pianeta piuttosto piccolo, molto luminoso. Trovandosi in una posizione esterna all’orbita terrestre può essere osservato facilmente da qualsiasi angolatura noi siamo. Si può vedere anche ad occhio nudo e appare come una bella stella rosata alta nel cielo.
Ha due satelliti (o lune) chiamati con lo stesso nome che nel mito hanno i suoi due figli: Deimos (paura) e Phobos (terrore).
Il suo moto di rivoluzione, nello Zodiaco, dura circa 2 anni e in un segno, se si escludono gli anelli di sosta, rimane più o meno due mesi. La distanza dal Sole che occupa nell’oroscopo è variabile e ampia, così può formare con esso vari tipi di aspetti: trigono, opposizione, sestile, ecc.
Nel tema natale riguarda la forza dell’energia maschile, l’impulso, la combattività. E’ dunque un pianeta di polarità maschile e domina sia il segno dell
’Ariete che lo Scorpione.

MARTE NEL MITO
 
I greci lo conoscevano come Ares, figlio di Zeus ed Era. Secondo Omero lui nacque soltanto da Era che, seccata dal comportamento di Zeus, lo concepì da sola aiutandosi con la pianta della fertilità. Fin da piccolo fu istruito sull’arte della guerra e del combattimento, crebbe coltivando in sé la passione per le dispute e le guerre. Era di bell’aspetto e gli fu facile far breccia nei cuori era però anche un po’ gradasso perché amava vantarsi delle sue conquiste belliche e non solo di queste.. questo suo modo di fare lo rendeva poco simpatico.
Tra le donne da lui amate ci fu anche Afrodite dalla quale ebbe tre figli: Armonia (che ebbe in dono dalla madre una collana che portava sventura), Eros (il dio dell'amore, dell’attrazione fisica) e Anteros (dio dell'amore ricambiato). Un mito nel mito dice che insieme questi due fratelli insegnino che l’amore per crescere ha bisogno di essere corrisposto.
Ares è conosciuto per il suo coraggio e la bravura nelle battaglie, pur se nel suo modo di combattere c’era troppa violenza e distruzione, appunto per questo la stima nei suoi confronti non era così alta in Grecia.

I Romani invece avevano maggior considerazione di lui, che era conosciuto come Marte e considerato, insieme a Giove, il protettore di Roma. Si riteneva fosse il padre di Romolo, il fondatore della città, e di suo fratello Remo. Era ritenuto il dio della fertilità e della natura. In seguito fu detto “dio guerriero” e assimilato ad Ares: dio della guerra. Per celebrarlo assegnarono il suo nome al mese di Marzo.


Marte nei segni
 
Marte, in un tema di nascita, rappresenta quell’energia che presiede il movimento, l’azione, la volontà, il coraggio.
E’ un pianeta “impulsivo” e la sua impulsività è dettata dall’istinto. Non c’è una mente a comandarlo purché non si trovi in un segno particolarmente attivo a livello mentale, di solito lui risponde a una spinta che viene dalla parte più primitiva dell’essere umano, quella che riguarda le reazioni primarie.

La sua energia può essere sia costruttiva che distruttiva, molto dipende dagli incroci che forma con gli altri pianeti. Bisogna capire che il suo modo di agire è legato al nostro istinto di sopravvivenza e quindi, se andiamo a guardarlo senza pregiudizi, comprendiamo che ha un’azione benefica in noi perché ci salva da un attacco esterno e stimola quella reazione necessaria a non soccombere.

Marte rappresenta la nostra capacità di esprimere un dissenso, di contestare un’azione, di protestare e perfino di arrabbiarci se questo è utile per arrivare ad uno scopo. Infatti molto spesso è necessario essere profondamente colpiti per veder nascere in noi una reazione e questa di solito è gestita da un moto di collera. Non dimentichiamo poi che a questo pianeta, come difetto principale, è affidata l’ira.

L’ambizione è di sua pertinenza e insieme ad essa la volontà di comando. Lui, in fondo, è un guerriero e ama tutto ciò che rappresenta una sfida, non si ferma neanche quando questa è nei confronti della vita.

E’ un trascinatore di masse, perché ama dirigersi verso un obiettivo. Il suo scopo potrà essere personale o per un bene comune, tuttavia lui rappresenta l’impulso che c’è dietro lo scopo: quello di battersi per ottenere qualcosa….
Le persone che hanno un istinto da leader molto spesso hanno un Marte particolarmente ben messo nel loro tema.

Nell’astrologia lo si mette in relazione con Venere, perché questa ci dice che cosa desideriamo e quali sono le nostre aspirazioni, mentre lui, quando agisce in modo equilibrato, ci fornisce l’opportunità e la capacità di arrivare a realizzare i nostri desideri. Di conseguenza, se gli aspetti tra questi due pianeti sono armoniosi, ne avremo come risultato un equilibrio tra volontà e desiderio.


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MERCURIO




Mercurio è il pianeta del sistema solare più vicino al Sole. In astrologia, indica il tipo di intelligenza, l'astuzia, l'apprendimento, l'agilità e la lucidità mentale, lo spirito critico, i riflessi e le capacità comunicative dell'individuo. In altre parole, Mercurio indica il modo di pensare e di reagire delle persone agli stimoli intellettuali.

Secondo l'astrologia tradizionale è il pianeta governatore dei segni dei Gemelli (domicilio diurno) e della Vergine (domicilio notturno), con le relative case astrologiche (III e VI casa, case della comunicazione e della salute). Nonostante gli aspetti antitetici di questi segni (il primo è estroverso ma dispersivo, il secondo è timido ma concreto), essi hanno comunque in comune la mente analitica, l'ironia e il sarcasmo e uno spirito critico molto accentuato, e sono proprio queste le caratteristiche peculiari di questo pianeta. È di conseguenza in esilio in Sagittario e Pesci. L'esaltazione è tuttora frutto di dibattito tra gli astrologi, l'astrologia tradizionale la colloca sempre in Vergine sede già del domicilio. Alcune scuole come quella dialettica di Lisa Morpurgo propongono lo Scorpione come sede dell'esaltazione con la relativa caduta in Toro, secondo la studiosa l'errore sarebbe nato in tempi antichi a causa di un errore di trascrizione del simbolo dello Scorpione con quello della Vergine, molto simili.

Essendo il primo pianeta del sistema solare, Mercurio si trova tra la Terra e il Sole. Per questo motivo, visto dal nostro pianeta, si distanzia poco dal Sole più precisamente fino ad un massimo di 28°. Visto che ogni segno occupa un angolo di 30° nella ruota dello zodiaco, ne deriva che Mercurio non può mai trovarsi oltre il segno precedente o il successivo al proprio segno zodiacale. Sempre per la vicinanza al Sole, è molto facile che appaia retrogrado, ovvero che visto dalla Terra sembri indietreggiare sulla sua orbita rispetto alla sua direzione normale (in senso orario) a causa del contemporaneo movimento della terra intorno al sole.
 
Mercurio nei segni

La posizione di Mercurio, analogamente a quella di tutti gli altri pianeti, influenza la mentalità dell'individuo allo stesso modo qualunque sia la posizione del suo sole. Questo significa che la descrizione classica del modo di ragionare di un segno può non corrispondere completamente alla realtà per chi possiede mercurio in un segno diverso: un Pesci che sa svolgere un lavoro da leader ha molto probabilmente mercurio in Ariete, un Bilancia che sembra cercare l'ordine assoluto più che l'armonia nel mondo ha sicuramente mercurio in Vergine, un Aquario poco razionale non può che avere mercurio in Pesci.




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Non sono una astrologa, le informazioni (didascalia sotto ciascuna immagine) sono state reperite sul web: principalmente su Wikipedia -

Le 5 Tavole postate, riproduzioni del 1949, sono di mia proprietà. (Purtroppo la raccolta non è completa).


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