Goya |
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In memoria di IGNACIO SANCHEZ MEJIAS
di Fabio Martini
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Un sole pallido accoglie
il cielo di Spagna.
Sabbia e arena.
L'anello profuma di rose
lanciate al balcone.
Antico è l'inchino alla muleta.
Calpestano il terreno intorno
e attendono.
Segnata l'ora che sia, da incominciare.
E pare la sera d'istante si fermi.
Garcia sorride.
Nell'aria, il brusio che l'odore trasforma.
La banderilla brilla,
dove la morte è vita.
Tauromachia ha i suoi ritmi sordi.
L'ingresso s'apre e stende già 'l velo
... comunque sia.
Soltanto bisbiglio e urla interrotte
a volte
e sorde.
Sapore e stupore.
Arde la stoffa rossa stesa a ventaglio.
Silenzio.
Strappo di pica.
Collo che striscia.
Movimenti austeri.
Sangue che cola e macchia
quel gesto d'elegante cura.
E' cuore vivo che batte.
E di strozzata folla, è l'urlo.
Vibra un colpo tra i tanti
e la vittima cade e scalcia.
Lui volge il suo viso al tumulto urlo.
Spada nell'aria.
Dritta la punta al cielo.
Ma improvviso e schietto,
sbalza nell'aria e vola.
Poi cade, riverso a terra.
Ignacio Sanchez Mejias
piega il ginocchio e s'alza.
Barcolla.
Ricade e s'alza ancora.
In ginocchio resta.
Piega in avanti il corpo
e poi tonfa per sempre a terra.
Tutto si ferma, alle cinque della sera.
Sgomenta e in silenzio
l'arena piange, alle cinque della sera.
La Spagna piange, alle cinque della sera.
Il suo poeta piange.
E ora, alle cinque della sera,
un bimbo, mesto e lento
s'appresta.
In braccio, porta un bianco lenzuolo.
Alle cinque della sera
... passandogli accanto.
Fabio Martini
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